Severgnini su InzaghiInzaghi

Della grande stagione dell’Inter e dei meriti da suddividere tra tutte le parti in causa ha parlato il giornalista Beppe Severgnini, noto per la sua passione nerazzurra:

La vittoria — e i successivi festeggiamenti in campo, quasi esagerati — segnano un cambio di stagione. Questa è finita, si pensa alla prossima. Lo scorso campionato, allo stadio Friuli, l’Inter era andata in vantaggio, poi aveva perso malamente (3-1). Stavolta è andata sotto, e ha vinto.
Nel girone di ritorno, finora, undici vittorie su dodici partite, trentun gol fatti, solo sei incassati. Impressionante. Molto merito va ai giocatori. È evidente che, nella squadra, si è creato un affiatamento formidabile. Barella ha smesso di protestare, Lautaro gioca tranquillo, Bastoni e Dimarco crescono a vista d’occhio. Frattesi accetta di entrare a partita in corso quand’è, di fatto, titolare in Nazionale. Anche la mano di Riccardo Ferri, mio concittadino, si vede: un fratello maggiore travestito da team manager. Certo, vincere aiuta a vincere, ma ogni tanto scatta una magia che trasforma le addizioni in moltiplicazioni. Il Napoli, lo scorso anno, è un buon esempio.
Anche Simone Inzaghi sta sorprendendo tutti (anche sé stesso, probabilmente). La gestione nervosa di una squadra d’alto livello, in qualsiasi sport, è complicata. Inzaghi, l’afono più vocale del calcio italiano, è diventato davvero bravo, e sembra avere le idee chiare. L’Inter, in campo, dà l’impressione di sapere sempre cosa fare. Sullo stesso gradino del podio sta Beppe Marotta. La sua competenza è nota, la sua tranquillità contagiosa, la sua parsimonia ammirevole: ha costruito la squadra vincente sui «parametri zero» (Sommer, Acerbi, Mkhitaryan, Calhanoglu, Thuram). Col suo sorriso lacustre, l’amministratore delegato può trarre in inganno chi non conosce i lombardi e scambia la semplicità per ingenuità, il garbo per insicurezza, la pacatezza per rassegnazione.
Una menzione speciale tocca al giovane Zhang Kangyang — Steven Zhang, chez nous — qualunque cosa accada in maggio, alla scadenza del prestito di Oaktree. Quando è arrivato all’Inter (2016), non sapeva nulla di calcio: nemmeno guardava le partite. Ma ha imparato, ascoltando chi ne sapeva più di lui (Marotta, Ausilio, Zanetti, Antonello).
Una medaglia al valore, per finire, ai tifosi: soprattutto a quelli che riempiono gli stadi (non solo San Siro!). I loro interventi — «inter+venti», suona bene! — sono stati decisivi, soprattutto nei momenti difficili: la costruzione del successo di quest’anno parte dalle sconfitte della scorsa stagione in campionato (dodici!). I cuori neroazzurri hanno capito: era un tratto di nebbia, oltre brillava il sole. La scalata in Champions, arrivata fino a Istanbul, ha convinto tutti che la squadra c’era. Da lì in poi è stato tutto più facile. Saper aspettare, anche nel calcio, è una virtù.

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