MarottaMarotta

“Con l’Inter serve una camomilla prima delle partite: vinciamo con le grandi, perdiamo con le piccole”. La battuta è di Beppe Marotta, ospite questa sera sul palco del ‘Golden Boy‘, evento organizzato da Tuttosport in corso di svolgimento al Teatro Cucinelli di Solomeo (PG). L’ad sport nerazzurro ripercorre i momenti salienti della sua carriera, toccando ovviamente anche il tasto nerazzurro e il rapporto con Suning: “All’Inter per la prima volta mi sono trovato a lavorare con una proprietà straniera – ricorda Marotta -. Meno male che sono arrivate loro altrimenti chissà il nostro calcio dove sarebbe andato a finire. La nostra proprietà cinese ha profuso grandissimi investimenti, tirando fuori quasi un miliardo di euro. La proprietà ci garantisce una gestione in cui si può fare bene allestendo squadre competitive nonostante i minori investimenti attuali. Il vantaggio della proprietà cinese è che ci lascia lavorare con tranquillità, la pressione è relativa”.

ZHANG – “Steven Zhang è un presidente giovane di 30 anni, è molto tranquillo e non trasmette pressione. In Italia manca la cultura della sconfitta. Appena si perde una partita c’è la redazione degli ultras e dei media, all’estero non c’è tutto questo. La proprietà straniera ti lascia lavorare e capisce benissimo che si può perdere: per gli italiani la sconfitta rappresenta un dramma o quasi. Quando vinci il grande problema diventa piccolo, quando perdi diventa grande. Bisogna saper vincere e saper gestire il post vittoria che è la cosa più difficile, perché subentrano nuove dinamiche come l’appagamento che è pericoloso perché fa allenare con meno intensità o ti fa approcciare a certe partite con più superficialità”.

LA CARRIERA – “La mia prima grande operazione fu la cessione di Casiraghi dal Monza alla Juventus di Boniperti in comproprietà. Quando sono andato alla Sampdoria all’inizio ero dubbioso perché ero all’Atalanta in A: eravamo arrivati settimi e con uno dei vivai migliori d’Italia, alla fine mi hanno convinto e andando alla Samp ho imparato che se si cambia squadra bisogna andare in quelle un po’ in difficoltà e non dove hanno fatto bene. Altrimenti è dura come oggi lo sarebbe andare a Napoli dopo lo scudetto. Alla Juve ho imparato il concetto organizzativo vincente e il valore della delega, visto che Andrea Agnelli mi aveva investito di pieni poteri. Vidal era un’eccezione: aveva un motore dal punto di vista fisico incredible che gli permetteva di reggere serate diverse diciamo che faceva, ma poi in campo andava a mille. Alla Samp ho avuto in squadra insieme il figlio di Gheddafi e Cassano insieme. Pensate voi la gestione (ride, ndr). La trattativa più difficile? La cessione di Pogba al Manchester United: fui veramente orgoglioso di tutto il mio team, la cosiddetta squadra invisibile che è quella societaria rispetto a quella visibile che è quella che va in campo. Avevamo preso Pogba a zero e trattare con Mino Raiola non era facile. Rimanemmo 3 giorni chiusi in hotel a trattare con la dirigenza dello United a Manchester per trovare l’accordo. Higuain stava andando al Barcellona e così chiesi ad Andrea Agnelli l’autorizzazione per anticipare i tempi e chiudere visto che la cessione di Pogba non era stata ancora completata. C’era Andrea che era un presidente tifoso e mi diede il via libera. Fu una operazione veloce”.

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