Calciomercato Inter, Beppe Marotta

Ai microfoni di “Il Mattino”, ospite di un evento organizzato per i 130 anni della fondazione del noto quotidiano napoletano, Beppe Marotta ha fatto una lunga analisi sulla Serie A.

Il campionato italiano ha perso appeal per giocatori e investitori

“Avendo 45 anni di esperienza nel mondo del calcio, c’è da constatare quanto nel 2000 eravamo l’Eldorado del calcio, come qualità del prodotto e come ingaggi di calciatori. Molti campioni venivano e finivano la loro carriera qui, come Diego Armando Maradona.

Oggi il nostro è un campionato di transizione, dove i giocatori arrivano per poi andare via. Gli esempi li ho avuti l’anno scorso con Achraf Hakimi e Romelu Lukaku, giocatori che arrivavano da squadre importanti ma che a fine stagione hanno chiesto di andare via.

Nel 2000 noi eravamo i primi per qualità e fatturato, poi improvvisamente abbiamo perso posizioni. Dobbiamo chiederci perché: la mia analisi è che non siamo stati pronti al cambiamento, cioé non abbiamo capito che da un modello di mecenatismo come era il calcio in Italia fino agli anni 2000, dove grandi imprenditori, anche per obbligo verso i propri cittadini, gestivano le squadre come Silvio Berlusconi e Massimo Moratti a Milano o Giovanni Borghi nella mia Varese, ma come anche in altre città italiane. A fine stagione, il mecenate chiamava il ‘ragioniere’ che faceva i conti, poi lui staccava l’assegno e copriva le differenze. In Inghilterra, invece, si iniziava a valorizzare le loro risorse, avevano capito che il calcio andava verso il cambiamento dettato dalla valorizzazione del loro prodotto.

A distanza di 20 anni, la valorizzazione di queste risorse dà un rapporto di 1 a 4; così andiamo a perdere valore competitivo. Oggi una società di calcio è una società di intrattenimento o una media company; lì siamo mancati per la mancanza di lungimiranza dei presidenti e dei manager e si è creato un gap da colmare”. 

La valorizzazione dello sport

In merito alla qualità del prodotto “calcio”, Marotta continua:

“Sicuramente il calcio è inteso come fenomeno sociale, e mi riferisco anche ai risultati del campo, quindi alla qualità del prodotto; se non si vince, non è solo per mancanza di soldi ma per un prodotto che non è competitivo. L’Italia è una delle poche nazioni dove lo sport non è inteso in termini sociali: manca il Ministero dello Sport, a scuola lo sport non esiste. Da qua deriva il fatto che il calcio non è seguito, c’è dispersione di talenti perché nessuno li identifica. Mancano innovazione e formazione, non ci sono più gli allenatori di base di una volta”. 

Equilibrio fra sostenibilità e competitività

Marotta prosegue: “Noi essendo società di capitali rispondiamo a due ordinamenti, quello sportivo e quello giudiziario dovendo produrre un bilancio. La sostenibilità è fondamentale, essendo poi un fenomeno popolare se chiedessimo a dieci tifosi cosa preferirebbero tra una società che vince lo Scudetto rischiando il default e una virtuosa che arriva quinta, undici direbbero la prima. Ma al di là di questo, il responsabile della gestione deve essere molto equilibrato.

La sostenibilità è un obbligo, perché rispondiamo anche alle disposizioni del sistema calcistico quali licenze UEFA e licenze nazionali. Poi, bisogna capire che i costi vanno contenuti: il costo del lavoro oggi sfiora il 60-70% del fatturato, una società di manufatti vedrebbe il fallimento dietro l’angolo. Bisogna ridurre i costi prima della valorizzazione delle risorse, poi dobbiamo guardare la competitività. E questa, anche in termini europei, dà anche lunga vita alle società intermedie che fanno parte del contesto della Serie A”.

Il progetto dell’Inter

“Il core business è il gioco del calcio, – continua Marotta mi occupo soprattutto di questo. La gestione va avanti con un progetto iniziato qualche anno fa e che deve proseguire nella ricerca della sostenibilità non dimenticando che abbiamo l’obiettivo di essere inseriti nelle prime quattro che vanno in Champions, perché da lì arrivano decine di milioni che servono alla gestione”.

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