Facciamo un gioco: l’Inter ha vinto il campionato e ha cucito sulla maglia la seconda stella. Immaginatelo. Figo eh? Ok, ora pensate a tutte le cose successe e dai, siamo sinceri, con la seconda stella un po’ finiscono in cavalleria. A quel punto l’analisi dell’annata diventa per forza molto più mirata agli aspetti positivi, alla prestazione dei giocatori, alla bravura del tecnico e del suo staff, alla lungimiranza della dirigenza e alla saggezza della proprietà.
Paradossalmente è molto più facile fare le analisi quando si arriva terzi, o quarti, si insomma, quando non ci si è fatti la bocca con l’idea di un trofeo che è passato dall’essere inizialmente un miraggio, poi qualcosa di concreto, poi qualcosa che scivola come sabbia tra le mani e poi qualcosa di solo accarezzato. Arrivare secondi lascia sempre quel senso di amarezza che il tifoso poi trasforma in rabbia, e in fondo ci conosciamo, quando il tifoso ha la rabbia a qualcosa o qualcuno deve pur sparare. Naturalmente non solo non serve a niente, è pure dannoso: va a generare una quantità di voci dissonanti che aumentano la caciara e nella caciara ognuno ne approfitta, cercando di incolpare quel qualcosa o qualcuno che mal sopporta, trasformando il tifo collettivo in un insieme di individualità scollegate, unite più dall’astio personale verso questo o quello che dall’amore verso i colori.
Bella la retorica del “tifare la maglia” ma va anche messa in pratica, volendo.
Di seguito una piccola analisi, per quanto possibile breve e suddivisa per 5 aspetti dell’annata dell’Inter. Ho usato il metro piramidale, partendo dalla base a salire, e in ultimo ho aggiunto alcuni fattori esterni alla società.
E’ scritto prima della fine del campionato, ma ho utilizzato come metro quello di “oggi”, quindi come se il campionato fosse già terminato. Se anche ci fossero dei ribaltoni nell’ultima giornata la sostanza non cambierebbe, perchè prendendo in esame un anno non sono 90 minuti di gioco che fanno la differenza, visto che il risultato integra, ma non ribalta, un’analisi.
Naturalmente è incompleta, ma credo sia già abbastanza lunga così.
GIOCATORI
E’ difficile distribuire le colpe sul gruppo, alcuni giocatori non hanno mai mollato, altri hanno avuto delle difficoltà, ma questo accade in ogni rosa di ogni squadra, ogni anno. La rosa in termini di singoli non poteva essere competitiva come l’anno precedente. Era surreale pensare che la cessione di Hakimi, l’abbandono di Lukaku e la sfortuna assurda con il caso di Eriksen potessero essere traumi superabili in un amen, e solo un buonissimo lavoro dirigenziale e di panchina hanno fatto in modo che i loro sostituti potessero non far rimpiangere troppo queste perdite, ma era realistico pensare che fossero dei pari valore?
Certo, ci sono stati giocatori come Skriniar, Perisic, Bastoni, Brozovic, Lautaro che hanno mantenuto (se non migliorato) il loro standard, alcune belle sorprese (Dumfries e Dimarco), ma in generale sarebbe ingeneroso cercare di addossare colpe sui singoli giocatori al di la dei fisiologici errori individuali che succedono a tutti nel corso di un’intera annata, non solo nell’Inter.
Lo stesso Handanovic, bersaglio preferito del tradizionale tiro al piccione (perchè la regola generale è che un colpevole è necessario, sempre), ha comunque messo sul piatto la sua esperienza, anche se a volte con esiti non proprio esaltanti e coi limiti che non sono certo io a dover dire (perchè ci sono e sono fisiologici, e spoiler: non è che raggiunto un certo livello di critiche domani questo si sveglia reattivo come un ventenne). Ma a quel punto la questione si sposta su chi non ha dato alternative credibili in quel ruolo, e non vale solo per il portiere.
GUIDA TECNICA
Siamo sinceri: il passaggio Conte-Inzaghi è stato visto da più o meno tutti (non solo dai tifosi dell’Inter) come un downgrade clamoroso, passare da un allenatore che ha lavorato in più realtà e che ha vinto i campionati dove è stato, a un allenatore che per un ventennio ha operato solo in ambito laziale (con tutte le conseguenze del caso) e che guadagna un terzo non poteva essere indice di una volontà di dominio.
Eppure Inzaghi negli anni in biancoceleste ha dimostrato di saper gestire ottimamente anche rose medio buone e di non essere uno che si mette a pestare i piedi in conferenza se la proprietà non lo porta a Fifaland a ogni sessione di mercato. Nel contesto del progetto “sostenibile” era forse la migliore scelta possibile, perché dava comunque una continuità nel sistema di gioco a 3 anche se lo interpreta con una filosofia quasi diametralmente opposta rispetto a Conte. Ha anche dimostrato negli anni di saper crescere discreti giocatori fino a fargli esprimere un potenziale ottimo, i Milinkovic-Savic, i Luis Alberto ecc. sono li a testimoniarlo.
Eppure con una rosa che prima dell’inizio del campionato non era certo considerata la migliore (al netto del solito gioco delle parti che si fa più tardi, durante il campionato per cui nessuno vuole avere l’onere di essere il favorito) è arrivato dove è arrivato in campionato, ha superato un girone di Champions come non succedeva da anni, e ha giocato contro le due finaliste dell’edizione, uscendo contro un Liverpool oggettivamente di altro livello. E in ogni caso giocando sempre bene, con rispetto ma senza paura, nonostante il blasone, la storia e le capacità economiche degli avversari. E il tutto al primo anno di gestione, che nel suo caso corrisponde alla prima esperienza in una squadra per cui la possibilità di portare a casa qualche trofeo dovrebbe essere concreta. L’Inter non è la Lazio, con tutto il rispetto. Restare competitivi è il minimo sindacale richiesto nell’Inter, non una speranza ma un compito.
Ma nel gioco orribile dell’individuare colpe, anche Simone Inzaghi non è immacolato, come è normale che sia in una analisi il più onesta possibile, anche se va tutto contestualizzato. La sua fissità di sistema di gioco a volte si è rivelata un limite, così come la sua filosofia di gestione della palla e del ritmo di gara. I cambi sono stati a volte discutibili, così come in alcuni casi l’approccio alla gara. Ma sono cose che succedono a tutti e che rientrano nella normalità di quello che accade in ogni squadra, ogni anno.
Il limite forse più evidente, la cosa su cui Inzaghi ha del lavoro da fare, è, a mia opinione, la mentalità. Ci sta di vedere il bicchiere mezzo pieno, ma discorsi sull’essere mestamente contenti o moderatamente soddisfatti non si confanno all’habitat di una big, soprattutto se difende il titolo. E se a volte è necessario alzare la voce o essere poco disponibili con i media che cambiano tono a seconda di chi hanno davanti beh, bisogna farlo. Personalmente amo molto il modo rilassato di rapportarsi con i giocatori per responsabilizzarli e con la dirigenza, senza usarli alla bisogna come scudi dietro cui ripararsi come abbiamo a volte visto in un recente passato, ma come in tutte le cose esiste una forbice, al di fuori della quale c’è il troppo e il troppo poco. Forbice che in un ambiente come quello nerazzurro, sempre al centro della bufera mediatica sapientemente evocata dalla contraerea mediatica italiana, è inevitabilmente stretta.
In definitiva se l’Inter non ha vinto ANCHE il campionato (stragiocando e stravincendo, come molti tifosi pretendono) una parte di responsabilità va naturalmente data anche al Mister, anche se si parla di solito di eventi episodici: il derby perso con venti minuti di follia grida vendetta, il mese con il passo di una squadra che lotta per la salvezza anche, ecc. Che l’obiettivo di stragiocare e stravincere sia effettivamente realizzabile o sia una fantasia è argomento che non verrà preso in esame qui.
DIRIGENZA
Trovarsi a gestire una situazione come quella recente non è facile nemmeno se sei abituato ad anni di Settlement Agreement, ma un paio di cose vanno oggettivamente messe sul piatto delle responsabilità. Che Marotta sia probabilmente il migliore AD della Serie A o quasi è cosa nota. Che Ausilio abbia una certa cultura calcistica e un occhio lungo particolare anche. Ragionare in termini di rinnovi dirigenziali implica giocoforza ragionare sul medio termine in modo positivo: si da per assunto che se uno come Marotta sceglie di proseguire un lavoro è perché crede che sia possibile lavorare in un certo modo. Ma va detto che è oggettivamente difficile iniziare un campionato nell’ottica di arrivare tranquillamente nelle prime 4 e poi a gennaio, trovandosi davanti, alzare l’asticella dichiarando lo scudetto come nuovo obiettivo, come se non sapessimo che a gennaio si è a metà del lavoro e che la parte complicata deve ancora arrivare. Un’uscita forse intempestiva, su un cambio di obiettivo che forse era meglio che rimanesse nell’ambito delle conversazioni interne ai corridoi di Appiano.
La cessione in prestito di Sensi e una rosa che è adeguata in senso numerico ma non in senso funzionale al gioco che la squadra produce, costituivano un rischio. Era impensabile fare un girone di ritorno con i punti del girone di andata, anche solo per la differente struttura dei due gironi (ci torneremo dopo).
Se è vero che a gennaio l’Inter era davanti con un margine inaspettato, è altrettanto vero che pensare di mantenere un certo distacco e magari ampliarlo non è realistico se:
– hai due centrocampisti su tre che non hanno un ricambio credibile,
– la tua soluzione per ampliare le possibilità di un attacco che non riesce a tradurre in reti la ciclopica quantità di gioco prodotto si chiama Caicedo,
– ti aspettano 40 giorni di inferno in cui non potrai fare turnover e
– veramente ti aspetti di fare più di cento punti in un campionato, forse il problema sono delle aspettative surreali.
Ecco perché le premesse di un possibile periodo nero c’erano ed era quindi più saggio un approccio cauto. Certo, si poteva sperare che non durasse così tanto e che si potesse uscire più o meno indenni dal periodo buio che hanno tutte le squadre nel corso di un anno grazie al gioco e alla tecnica, ma non è successo. Qui forse ci si deve interrogare sullo staff che si occupa della preparazione fisica, ma sempre ricordando che il periodo gennaio-febbraio, a livello di calendario, è stato un’anomalia più unica che rara e che nessun altra squadra della serie A ha dovuto affrontare un periodo così lungo e così intenso.
Ad ogni modo la dirigenza, nonostante le traversie dello scorso anno (pandemia, mancati ristori, stadi chiusi e una proprietà che dipendendo da un governo estero che controlla le aziende non può disporre dei suoi capitali come vuole), ha condotto ottimi affari. Calhanoglu a 0 è stato eccellente, così come la velocità nel chiudere Dzeko nonostante Lukaku abbia deciso di abbandonare la nave a 5 giorni dalla fine del mercato. Dumfries è stato relativamente veloce ad abituarsi a una serie di compiti in campo molto diversi da quelli a cui era abituato, e si è dimostrato un buonissimo acquisto. Il rinnovo di Brozovic, vero e proprio faro e reale top player nel gioco dell’Inter, è stata forse la cosa migliore, e anche (ma questo si vedrà) la lungimiranza nel mettere le mani su un portiere come Onana, per non parlare dell’acquisto di Gosens, anche se inevitabilmente avrebbe creato dei malumori a Perisic, che si sarebbe considerato già fuori dal futuro dell’Inter. La polemica sul mancato rinnovo è anche figlia di questa situazione ambigua.
Quindi in ultima analisi la dirigenza ha si, lavorato benissimo come ci si aspetta da una dirigenza di questo peso, ma non è stata sicuramente impeccabile, e sarebbe disonesto girarsi dall’altra parte e non includere anche gli aspetti che hanno creato piccole tensioni o ostacoli nella seconda metà della stagione. Chiaro: si sta un po’ cercando il pelo nell’uovo, perché non bisogna dimenticare che gli eventi degli ultimi anni sono stati epocali, e hanno modificato un po’ tutto l’habitat del mondo del calcio e dello sport in generale. E non solo quello.
PROPRIETA’
Ed eccoci al vertice della piramide. Perchè una società di calcio è una piramide e come sempre accade più si sale nella gerarchia e più le responsabilità diventano gravi quando ci sono degli errori e più gli onori diventano grandi quando ci sono i trionfi. Però bisogna distinguere cosa sono le “scuse” e cosa sono i “motivi”. Potrebbero sembrare sinonimi, ma non lo sono, e le parole sono importanti.
Partendo dal presupposto che il calcio è un’industria, e che come in tutte le industrie per rimanere al di sopra di un certo livello l’unica strada è quella di investire, la verità è che nel calcio si fa sapendo che difficilmente ci si potrà guadagnare ma che il ritorno sarà principalmente in termini di immagine. Se i termini sono questi non si può certo dire che nell’ultimo anno la proprietà asiatica sia stato un valore aggiunto. Così come non si può dire che la prima parte della loro presidenza non lasciasse presagire invece un futuro roseo: grandi investimenti in dirigenza, giocatori di spessore, i cordoni della borsa allentati subito dopo la fine del Settlement Agreement, una squadra costruita per bruciare le tappe di un ritorno al vertice, ristrutturazione di impianti e la continua richiesta di avere veramente uno stadio di proprietà (richiesta puntualmente boicottata come troppo spesso accade quando le proprietà non sono amiche intime dei comuni di riferimento), hanno portato a un investimento che si misura in circa 900 milioni di euro. Una quantità di denaro mostruosa, soprattutto in un contesto economicamente un po’ asfittico come la serie A che non genera certo i profitti della Premier.
Premesse che però si sono sgonfiate, complice il fatto che come già accennato le imprese cinesi non hanno il reale e totale controllo dei loro capitali e se il governo dichiara che in certi settori bisogna limitare gli investimenti le aziende si devono adeguare. A seguire, gli investimenti che dovevano rientrare grazie ai profitti hanno trovato l’ostacolo di un anno di calcio giocato a porte chiuse, e non ci vuole certo un contabile per capire che se prevedi di ricavare 50 milioni l’anno in ticket e non prendi, perdi 50 milioni che avevi preventivato di avere. Paradossalmente più grande è l’afflusso che mediamente generi e più è grande il buco che ti resta nella previsione di rientro di un investimento, quindi le squadre che portano allo stadio più persone sono quelle che hanno un maggiore danno da una condizione di stadi chiusi. E si aggiunga che l’Italia non ha destinato alle aziende del settore calcio i ristori, a differenza di molti altri stati europei, mettendole quindi in una condizione più difficile rispetto all’estero. Non ha certamente aiutato nemmeno la quantità considerevole di denaro perso lo scorso anno non superando il girone della Champions League.
E quindi l’anno scorso si è assistito al saluto di Conte, che non tollera di lavorare in condizioni in cui non sia lui a stabilire i termini di spesa nei mercati, di Hakimi per cui era necessario fare una plusvalenza che andasse a coprire i buchi, e in generale una necessità di mettere le mani alle voci di spesa, in modo da rendere più sostenibile (e quindi più appetibile) il brand Inter per eventuali compratori. Lukaku ha deciso lui di andarsene nonostante la richiesta di restare, e in quei casi la dirigenza ci può fare poco o nulla, così come nella tegola Eriksen.
Era abbastanza per parlare di un ridimensionamento, che nei fatti c’è stato, ma non perchè ci siano proprietari brutti&cattivi&poveri, fosse stato quello il motivo gli Zhang non avrebbero fatto investimenti strutturali fin da subito: si sarebbero limitati a investire per migliorare il valore dell’asset per poi rivenderlo, come fa un fondo qualsiasi. Senza gli avvenimenti epocali degli ultimi due anni e mezzo c’è la logica ragione di credere che staremmo parlando di un progetto con un termine di spesa diverso, obiettivi diversi e una strategia votata al consolidamento.
Ma siccome queste cose sono successe e sono successe a tutti (anche se come visto non è uguale per tutti, perchè quando arriva la marea se hai appena investito sei in una posizione peggiore rispetto a chi ha già una struttura solida e investimenti stabilizzati da anni e per quanto a molti non piaccia va considerata la variabile “sfiga”), va valutato anche l’aspetto della proprietà, anche se è complicato per noi europei capire che non ragionano tutti come degli europei. Probabilmente perchè non sono tutti europei.
La proprietà si è dimostrata distante anche quando serviva, intervenendo poco o nulla sui media. Questo in Italia è pari a un crimine, che una proprietà lasci la gestione a chi viene pagato per gestire è roba da mondo anglosassone, dove i ruoli sono ben definiti e nessuno si sognerebbe di andare a chiedere a chi ci mette i soldi se preferisce giocare a 4 o a 3.
Quindi si, ok Zhanghino, bello vederti allo stadio e porti sicuro meno rogna di Thohir, però se ogni tanto ti incazzi perchè trattano la squadra come lo zimbello mediatico del campionato fidati, non muore nessuno. Anzi, magari fa bene. Non dico di andare in conferenza e chiedere che nelle ultime giornate succeda qualcosa di strano, su questa sponda del Naviglio non usa cosi, però far sentire la propria voce in un sistema calcio così emotivo e che ha bisogno di un bersaglio può far bene.
Anche essere chiari per quanto riguarda il futuro e gli investimenti farebbe bene al tifo, evitando di creare false aspettative da una parte o di scrivere epitaffi anticipati dall’altra, perché l’isteria del tifo si combatte con la schiettezza.
O spiegando quale ritieni che sia il reale valore dell’Inter, in modo che più o meno si abbia un’idea di che tipo di offerta sarebbe accettabile e quale no.
O ancora, evitando di fare propaganda sul futuro e mettendosi in testa che non è che se nonostante il ridimensionamento abbiamo portato a casa due trofei il gioco diventa che ogni anno si parla di gente che se ne va, di ridimensionamenti e di cessioni eccellenti.
Intendiamoci: non esistono gli incedibili, davanti a certe offerte chiunque può essere ceduto, ma l’Inter deve fare l’Inter: una bottega carissima, almeno quanto lo sono le altre quando si tratta di comprare.
Anche se non abbiamo ex dirigenti che si prendono i nostri giocatori che da noi non rendono, supervalutandoli come si fa con le vecchie auto Euro3 fino a darci (oplà!) esattamente i soldi per comprare l’attaccante che vorremmo, o se non abbiamo dei rapporti di partenariato con altre società che ci cedono i loro migliori uomini concedendoci di pagarli in seicento comode rate mensili a partire da quando conquisteremo Giove dai, questo non significa che l’Inter debba essere quella che fa gli sconti, in tal caso forse era meglio investire in una catena di supermercati.
L’impressione è che anche se la proprietà ormai è presente da un po’ di tempo, non abbia ancora capito esattamente come funzionano le cose in Italia, che non è la Danimarca, ed è una cultura in cui i rapporti extracalcistici con l’apparato che gestisce il calcio sono vitali e si riflettono sul destino della società e sulla percezione che viene creata, e che è facile da manipolare e da alterare.
Quindi un po’ di presenza in più sarebbe gradita, un po’ di chiarezza anche. Sta bene tirare la cinghia nei momenti difficili (anche se sembra che molti non riescano a capire la portata degli eventi degli ultimi anni), sta meno bene continuare a farlo quando le condizioni per cui si tirava la cinghia non sussistono più o stanno scemando. Perchè altrimenti la linea che divide un motivo da una scusa diventa sottile, poco visibile e questo fa solo il gioco di chi agita l’acqua, a volte senza nemmeno accorgersene.
FATTORI ESTERNI
Ok, l’Inter è arrivata seconda dietro un Milan non certo spettacolare, ma che ha saputo capitalizzare gli eventi. Dotato di un paio di giocatori che spaccano la partita e di un portiere davvero di altissimo livello oltre che di un progetto di gioco già consolidato, il Milan ha raccolto quello che abbiamo lasciato per strada: uno scudetto.
Perchè se è innegabile che il Milan l’ha vinto è altrettanto innegabile che l’Inter lo ha lasciato per terra. Un po’ come quando sei in discoteca, vai in bagno lasciando il portafogli incustodito sul tavolo e quando torni non c’è più. Si ok, qualcuno non si è comportato bene, ma il sospetto che tu non sia esattamente una volpe si fa più concreto ogni minuto che passa.
A questo punto va valutata una cosa però, oltre alla rosa che come detto non è funzionale per i cambi che servono a causa del tipo di gioco che produce l’Inter, oltre alla preparazione atletica, oltre agli investimenti, alle dichiarazioni ecc. E questa cosa è un fattore che si nota quando si prendono i dati e si mettono in ordine.
L’Inter è partita forte, poi fortissimo, come detto era surreale aspettarsi una performance così anche nella seconda metà di stagione. Poi però si è trovata ad affrontare dieci partite consecutive a pochi giorni di distanza una dall’altra tra cui la finale di supercoppa, e la doppia sfida coi Reds. In mezzo un periodo terrificante in campionato, grazie al calendario asimmetrico partorito quest’anno dagli autori della Serie A, che come quelli di Lost dopo un po’ hanno una buona idea di base, ma riescono a mandarla in vacca applicandola come se stessero giocando a scacchi dopo sei Ceres.
L’idea è valida nel suo insieme, ma se mette una squadra nella situazione di trovare quasi tutte le sue rivali nello stesso periodo e poi le squadre che si devono salvare o quasi nel finale di campionato beh, ci vuole un bel coraggio a considerarlo uguale per tutti. Lo sarebbe se tutte le squadre si facessero un mese di scontri diretti (al netto di quelli di coppa ovviamente) ma così non è stato.
E infatti in seguito a questo periodo l’Inter ha fatto 7 punti in 7 partite, dilapidando il vantaggio che aveva creato in mesi di ottimo gioco e di avversari che si mettevano i bastoni tra le ruote da soli. E come mai? Molto probabilmente il fatto di non avere una panchina di giocatori adatti a sostituire i titolari ha mandato questi ultimi in debito di tutto. Fiato, concentrazione, freschezza. E coi 5 cambi avere delle riserve che possano sopperire è vitale, così come lo è la turnazione. Giocatori come Brozovic, Barella, Calhanoglu, Lautaro, lo stesso Skriniar e De Vrij, si sono trovati in enorme difficoltà in certi periodi. Difficoltà che abbiamo infatti visto meno sulle fasce, dove bene o male qualche cambio c’è e una riserva non intacca la meccanica del gioco.
Ma l’Inter di Inzaghi gioca i collettivo, non ha i singoli spaccapartite, ed ecco perchè è necessario avere dei giocatori che siano omogenei a quelli che sostituiscono. Vidal, Vecino e Gagliardini al massimo possono sostituire Barella in alcuni casi, perchè è fondamentalmente un “conduttore”, ma in nessun modo possono sostituire né Brozovic né Calhanoglu. E questo, dopo 40 giorni di inferno, lo paghi se ti trovi a giocare contro squadre che hanno quasi sempre giocato una partita a settimana. Tranne contro la Juventus a Torino l’Inter ha meritato i punti che ha, basta guardare i dati degli xG per rendersi conto che la produzione di gioco e occasioni è paurosamente più alta di quello che dice la classifica, e stiamo infatti parlando della squadra col miglior attacco e la miglior difesa, contemporaneamente. Certo, non è “colpa del calendario”, ma non si può far finta che questo non abbia aggiunto un 10% di difficoltà.
La spada di Damocle del recupero contro il Bologna è stato un altro piccolo peso, portato per mesi. E’ bello sapere di far parte di un movimento calcistico così probo che opta per la giustizia ad ogni costo facendo lo stesso giocare una partita per cui non era stato presentato ricorso e per l’Inter aveva proposto varie date ma sono sempre state rifiutate. In fondo quello che conta è che ci sia un karma, e se anche come detto perfino dalla Lega Serie A la decisione è stata di carattere politico vabbè, l’amore trionfa e viva viva il goleador. A ogni modo contro un Bologna che giocava per un motivo più nobile che la posizione in classifica siamo riusciti a perdere ma soprattutto a giocare malissimo, quindi giusto aver perso, ma speriamo che sia l’ultimo anno di partite rinviate, perché in un modo o nell’altro si sposta anche solo un 5% di difficoltà.
A questo va aggiunto il solito circo mediatico, che dopo anni di desertificazione del campionato che ha portato la Serie A ad essere già a febbraio meno vendibile della Bundesliga si è improvvisamente accorto che l’alternanza è una figata. E poi siamo italiani, la favola Milan che con due spicci, volontà e tantoammore vince il campionato è una storia così ghiotta anche se così trita che quasi quasi si vende il format a Netflix.
Piaccia o meno, il peso mediatico in uno sport così visibile mediaticamente non può essere 0, e se da fuori ti pompano come i palloncini della fiera va a finire che questo aiuta e l’aspetto psicologico a questi livelli conta quanto quello fisico.
Altra piccola percentuale.
E’ come correre i cento metri, uno con una pendenza favolrevole dell’0,5% e l’altro con una sfavorevole dello 0,5%. Non te ne accorgi quasi neanche, ma non è lo stesso sforzo.
Niente di dirimente preso singolarmente, ma si dice che tante bricioline fanno un panino, e non si entra nel merito di alcune decisioni arbitrali perché diventerebbe il solito gioco al massacro verso gli arbitri, a cui ogni anno cambiano regole, applicazioni, protocolli e tutto diventa talmente complicato che è inutile perfino tentare di addentrarsi nell’argomento, tanto alla fine le cose che vengono ricordate sono solo quelle di cui si parla una settimana.
E comunque, l’ultima di campionato…si deve ancora giocare.
CONCLUSIONI
In una analisi (anche se breve e incompleta come in questo caso) si devono tenere in considerazione molte cose, e legarle insieme, nell’ordine in cui succedono e per rapporti di causalità probabili. Altrimenti diventano nozioni e basta, informazioni messe li in un pastone in cui tutto è uguale a tutto, il che naturalmente non corrisponde alla realtà ma fa un sacco comodo ai tanti cecchini che non vedono l’ora di trovare proiettili per il loro bersaglio preconfezionato.
Sotto ognuno degli aspetti presi in superficiale esame ci sono lati positivi e lati negativi, così come in tutte le cose del mondo. Piacciano o meno non è rilevante, quale giocatore o dirigente o allenatore piaccia di più a chi scrive non importa nulla, perchè in qualsiasi analisi la componente emotiva non può far parte del ragionamento.
E dal momento che le analisi servono per dare delle indicazioni è più importante che queste siano corrette, non che siano belle, e la base di qualsiasi ragionamento è che la cosa più importante in definitiva sia avere una percezione un po’ più completa delle cose, partendo dalla domanda, non dalla risposta per poi manipolare l’equazione affinchè ci dia quella che ci piace. Ogni cosa è effetto di una causa e causa di un effetto, capirne anche solo un po’ la meccanica è fondamentale, e non solo nel calcio.
